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DI NICOLETTA FORCHERI
Dalla lettura di un articolo del Corriere di
qualche giorno fa, la Goldman
Sachs sarebbe sul punto di prendere il controllo
della rete Wimax italiana; del resto non c’è
nessuna sorpresa, visto il ruolo cruciale che la
Goldman, azionista della Federal Reserve americana,
ha svolto sin dall’inizio nella svendita
dell’Italia, di cui si può ragionevolmente
affermare che sia iniziata con esattezza il 2
giugno 1992 – nonostante alcuni precedenti
inutili tentativi - con l’accordo preso sul panfilo
Britannia, onori di casa fatti dalla Regina d’Inghilterra, al largo di Civitavecchia, tra Draghi, allora
direttore generale del Tesoro, Azeglio Ciampi, in qualità di governatore della Banca d’Italia, e un
centinaio tra rappresentanti della finanza anglosassone americana (Barclays, Warburg, azionista della
Federal Reserve, PricewaterhouseCoopers – ex Coopers & Lybrand – Barings – oltre alla Goldman
ecc.) e degli ambienti industriali e politici italiani. Era presente anche Costamagna, che diventerà
dirigente della Goldman quando sua moglie finanzierà l'ultima campagna elettorale di Prodi.
Lì gli angli dettarono le istruzioni su come privatizzare, per scelta obbligata, le industrie italiane statali.
Con l’aiuto della stampa iniziò una campagna martellante per incutere il timore nel popolo italiano
di “non entrare in Europa”, manco ne fossimo stati tra i Sei paesi fondatori…
E questa è oramai storia, tant’è vero che sull’episodio del “panfilo Britannia” vi furono le interrogazioni
parlamentari di alcuni onorevoli come Raffaele Tiscar (DC), Pillitteri e Bottini (PSI) Antonio
Parlato (MSI), autore di tre interrogazioni rimaste senza risposta e della senatrice Edda Fagni (PCI).
Fu l’inizio dell’era dei governi tecnici, dopo 40 anni di regime DC, con il “tecnico” Ciampi, il tecnico
Amato, il tecnico Prodi. Il governo doveva, a tutti i costi essere “tecnico”, pur di non fare arrivare
al potere neanche un’idea, che fosse tale e che lo fosse per il bene del paese, come sarebbe potuto
esserla quella, ad esempio, di un Aldo Moro…
Era la stagione dell’attentato a Falcone cosicché – guarda caso - la stampa non diede il dovuto risalto
all’incontro, e da poco erano iniziate le indagini di Tangentopoli - nome in codice Manipulite –
cosicché molti esponenti degli ambienti politico-economici si ritrovarono improvvisamente “minacciati”
dall’insidia latente di potersi ritrovare nell’occhio del ciclone. Un modo per “ammorbidire”
un ambiente, prima della grande “purga”? Certo è che Manipulite sembra sia avvenuta proprio in un
momento opportuno per fare “PiazzaPulita” di una classe politica con velleità italiote, e per ottenere
le “ManiLibere” di fare entrare i governi dei “tecnici”, quelli che con i loro amici della Goldman e
della Coopers ci avrebbero inculcato la “medicina” amara della svendita dell’IRI.
Di sicuro un Craxi, per quanto corrotto, non avrebbe mai siglato un patto così scellerato, quello di
svendere tutto il comparto nazionale produttivo del paese (l’IRI ad oggi sarebbe stata la maggiore
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multinazionale al mondo e noi non saremmo un paese in svendita), lui che tenne testa agli americani
nella vicenda dell’Achille Lauro, negando loro l’accesso al nostro territorio per attaccare i sequestratori
della nave, terroristi palestinesi, e portando avanti le trattative con i terroristi nonostante il
veto del presidente Reagan… Certo è che Craxi, dopo l’inizio di Tangentopoli, dovette rassegnare
le dimissioni a febbraio del 1993…Guarda caso…
E, infatti, proprio qualche anno prima Craxi era stato duramente criticato dagli ambienti angloamericani,
quegli stessi che non si privano mai d’interferire nella nostra politica interna, proprio di “ingerenza
dello Stato in economia” - per voce dei loro accoliti Andreotti, Spadolini, Cossiga - perché
aveva decretato la fine del mandato di Enrico Cuccia come presidente di Mediobanca (di cui divenne
però presidente onorario), e perché si era opposto alla vendita dello SME, il complesso alimentare
dell’IRI, negoziato direttamente dal suo presidente Romano Prodi ma smentita da una direttiva
del Governo.
Mediobanca, secondo il sito e movimento internazionale Movisol
(http://www.movisol.org/draghi4.htm ) “fu posta sotto il controllo di fatto della Lazard Frères [altra
azionista della Fed Res] di Londra, una banca che è proprietà di un raggruppamento estremamente
influente dell’establishment britannico, il Pearson Group PLC (…) che controlla anche la rivista
“The Economist” e il quotidiano “Financial Times”. Nel piano di spartizione del bottino della seconda
guerra mondiale "l'Italia, occupata dalle potenze occidentali, sarebbe diventata un'area in cui
avrebbe predominato l'influenza britannica", influenza che nel frattempo è scesa a patti con la grandeur
della Francia….
Ma tornando agli angli, era quindi chiaro che per potere procedere alle privatizzazioni bisognava
togliere di torno una classe politica che mostrava i muscoli davanti a certe velleità statunitensi di
comandare a casa nostra, e soprattutto che non voleva mollare l’osso – o il malloppo - per lasciare
posto a una classe di tecnici, fedeli servitori delle banche e dei circoli finanziari angloamericani, il
cui motto era “privatizzare per saccheggiare”. Quella della condizione di tecnicità per accedere al
potere fu un imperativo talmente tassativo, da riuscire nell’intento di dividere il PCI, con una fetta
che divenne sempre più “tecnica”, sempre più British, sempre più amica delle banche, sempre più
…PD…
Il premio di tutta questa svendita, prevista per filo e per segno in tanto di Libri sulle privatizzazioni
dai governi tecnici, o di sinistra che dir si voglia (a firma di Amato o di Visco) fu la nostra “entrata
in Europa”, demagogicamente parlando, o la cessione della nostra già minata sovranità monetaria
dalla Banca d’Italia alla Banca centrale europea SA per una moneta, l’euro che, con il tasso iniziale
di cambio imposto euro-Lira troppo elevato fu penalizzante per le nostre esportazioni. Senza più la
possibilità di emettere moneta quando il governo lo reputi giusto, con la possibilità di vendere i titoli
del debito pubblico in mani istituzionali estere e private (fino al 2006 il nostro debito doveva rimanere
in mani pubbliche e nazionali), senza neanche un governo economico a livello europeo che
possa controllare quella banda di imbroglioni, è come se ci avessero improvvisamente messo sulla
piazza pubblica per venderci al mercato degli schiavi…
E non c’è l’ombra di un dubbio che nel nostro indebitamento crescente vi sia la mano invisibile di
qualche regia occulta, occulta ad esempio come i British Invisibles, che organizzarono appunto la
riunione sul panfilo, occulta come alcuni azionisti che si nascondono nelle partecipazioni incrociate
e a catena e di cui mai si riescono a scoprire i nomi. O come i mandanti di Soros che speculò sulla
Lira per svalutarla, facendoci uscire dallo SME (Sistema monetario europeo) proprio per ostentare
lo spauracchio del rischio di “non entrare in Europa”.
L’anno 1992 fu davvero un anno cruciale per il destino del nostro paese, tant’è vero che quando
Amato divenne presidente del Consiglio qualche giorno dopo l’incontro sul panfilo, con il decreto
333 dell’11 luglio trasformò in SpA le aziende di Stato IRI, ENI, INA ed ENEL e mise in liquidazione
l’Egam. In quell’anno, quando Amato dovette far fronte alla speculazione contro la Lira di
Soros, utilizzò 48 milioni di dollari delle riserve della Banca d’Italia, dopo avere operato un prelievo
forzoso dell’8 per mille dai conti correnti degli italiani. Sempre in quell’anno mise in liquidazione
l’Efim, le cui controllate passarono all’IRI e trasformò le FS in SpA. Sempre nel 1992 Draghi,
Direttore del Tesoro preparò la Legge Draghi che entrerà in vigore nel 1998 con il governo Prodi e
si predispose una legge per permettere la trattativa privata nella cessione dei beni pubblici qualora
fosse in gioco “l’interesse nazionale”….
Prodi, che dal 1990 al 1993 fu consulente della Unilever e della Goldman Sachs, quando nel maggio
del 1993 ritornò a capo dell’IRI riuscì a svendere la Cirio Bertolli alla Unilever al quarto del suo
prezzo e a collocare le azioni che le tre banche pubbliche, BNL (diventanta della BNP Paribas),
Credito italiano e Comit detenevano in Banca d’Italia, privatizzando il 95% della stessa. Indovinate
chi scelse come "Advisor"?
Uomini della Goldman, nel senso che vi hanno lavorato sono, oltre a Costamagna e Prodi, Monti
(catapultato alla carica di Commissario), Letta, Tononi e naturalmente Draghi. Sicuramente ce ne
sono altri; molti nostri uomini politici se non lavorano per la Goldman, lavorano per l'FMI, come
Padoa Schioppa, presidente della BEI, Banca europea per gli Investimenti.
Queste sono informazioni che dovrebbero essere spiegate in lungo e in largo dalla stampa, e sicuramente
superate dagli avvenimenti - tranne articoletto del Corriere sopra - e invece sono state, e lo
sono tutt'ora, accuratamente occultate al grande pubblico, anche se per quelli che gli altri si divertono
a chiamare complottisti, per denigrarne le parole, è storia arcinota.
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