Il Dandy e Lo Snob

giovedì 19 marzo 2009

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Il Dandy e Lo Snob

Si tende spesso a confondere la vestigione del dandy con quella dello snob, che cerca nell'abito la sua definitiva differenza dalla sua classe. Non esiste una "moda dandistica", come invece dichiarano certi giornali di moda oggigiorno.

L'eleganza del dandy non è che un mezzo di espressione: egli ricerca la bellezza, a tutti i costi - e cerca di esprimere la sua inimicizia con la moda e la società. Una giacca non è pratica? ma certamente è più bella di un giubbotto di jeans. La cravatta è inutile/scomoda/fastidiosa? meglio una cravatta di un colletto aperto su un petto ricoperto di peli, o glabro e bianchiccio. L'abito del dandy è l'ornamento al suo Se; l'abito vuole mostrare chi lo porta e la bellezza dell'abito in sè; mentre, snobisticamente parlando, l'abito mostra di essere firmanto, alla moda. Poco importa se i colori sono orrendi (sono alla moda!), se il materiale è vile, ma il prezzo altissimo (è alla moda!), se quelle scarpe fanno apparire il piede di venti centimetri più lungo, o se la camicia ha un colletto che tra pochi mesi verrà giudicato da tutti ridicolo, - è alla moda!

L'eleganza del dandy è, si è capito, sottilmente démodé. Il disprezzo di Barbey d'Aurevilly per "il gusto e le idee contemporanee" si traduceva in un guardaroba devoto ai dettami della moda del 1830. Anche Wilde, dopo le eccentricità del periodo estetico, si era tramutato in un dandy fastosamente démodé; riproducendo uno stile passato, Wilde voleva opporre al peso crescente del futuro, il fascino malinconico del passato, la filologia compita della frivolezza, il lusso di non farsi trascinare dalla moda, la moda che uguaglia, uniforma, livella.

Beardsley vestiva completamente in diverse tonalità di grigio. Il pittore Whistler interamente di bianco e nero, ma con una lieve nota di colore nel fazzoletto da taschino. Anche Baudelaire aveva adottato questo tipo di divisa, tanto da venir chiamato dai critici e dai conoscenti 'monsignor Brummel'; il suo tocco di colore era dato dai guanti: primula, rosa, gialli. E da una sciarpa oltraggiosamente rossa, che metteva solo ai funerali. I suoi papillon erano fatti su misura, seguento un suo preciso disegno, tanto per sbeffeggiare inconsapevolmente, e in anticipo, la manìa dell'abito in serie. Un dandy ottocentesco oggi, vedendo una giacca moderna, oltre a notarne la scandalosa bruttezza, noterebbe migliaia di difetti che oggi non saremmo neanche più capaci di individuare.

Il dandy non subisce mai la moda, anzi, a volte si diletta ad esserne il fiero assassino.



e Come vestiva

La "divisa estetica": secondo Wilde, ogni esteta, durante le cerimonie, occasioni importanti o serate di gala, o ancora più semplicemente quando gli andava, doveva indossarla mostrando al mondo la sua anima completamente proiettata verso la bellezza. Essa era composta da un paio di pantaloni lunghi fino al ginocchio, che oggi chiameremmo 'alla zuava' - ma differentemente da questi erano molto attillati, di velluto scuro; delle lunghe calze di seta scure e degli scarpini di vernice neri con dei lunghi fiocchi; una giacca da frac con le code piatte; una camicia bianca con lo sparato altrettanto candido e inamidato, il papillon bianco da frac. Wilde variava poi in diversi modi la sua 'divisa': invece della giacca da frac e della camicia da sera, indossava una giacca corta ed un morbido panciotto di velluto, e un fazzoletto da collo, sovente azzurro o verde.

Con tale divisa, egli si faceva accogliere nei salotti mondani di Londra, e si mostrò abbigliato allo stesso modo durante il suo lungo giro di conferenze che tenne in America. Proprio là, Wilde veniva spesso criticato dai giornali, e preso in giro volgarmente per il suo abbigliamento; tentò allora, durante alcune conferenze, di vestirsi normalmente, ma l'evidente delusione del pubblico lo costrinse a cambiare idea.

La divisa estetica di Oscar Wilde non era che la divisa che veniva usata allora dalla Massoneria Inglese, ancora oggi in uso in alcune logge, della quale Wilde era stato un felice membro durante la gioventù. Ma non era nuova, tra i dandy, l'uso di una sorta di 'divisa': per primo Brummel lanciò la moda della giubba blu dai bottoni d'oro abbinata ai pantaloni color crema, assai attillati, con i lucidi stivali neri al ginocchio; e, tra gli alti risvolti della giubba, abbagliava per il suo candore la cravatta, morbida scultura, alla quale il Beau dedicava molte ore di pazienza. In seguito, Baudelaire adottò come 'divisa' una lunga mantella nera, un largo papillon altrettanto scuro, tagliato di sbieco, ed un completo comprendente uno stretto panciotto dall'abbottonatura assai accollata, del quale venivano sbottonati i primi tre o quattro bottoni. Sostituendo il nero baudelariano al grigio, il conte Montesquiou possedeva un'infinità di finanziere in infinite variazioni di questo colore, lo stesso preferito da Beardsley. D'Annunzio, invece di destreggiarsi con un solo colore, preferiva dare al suo guardaroba lo sgargiante sfavillìo della varietà più totale, sempre usando, però, sotto tutti gli abiti, delle camicie da un alto colletto duro, nelle foggie più disparate. Il dandy novecentesco preferiva invece non farsi troppo notare tra la folla, indossando abiti sì perfetti, e tagliati su misura, ma assai poco particolari se giudicati da un occhio inesperto. La "cravatta discreta" di Jacques Rigaut, come la descrive Man Ray nella sua autobiografia, o gli abiti, tanto scuri da sembrare neri, uniti a delle cravatte scure allo stesso modo, di La Rochelle e Malraux sono solo pochi esempi della fine eleganza, lontana dallo sfarzo decadente, dei dandy del Novecento.

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